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Farmacologia: Antitumorali 5

TERAPIE MIRATE O TARGET THERAPY
Terapia Target, che ha rappresentato una delle principali innovazioni terapeutiche di questo secolo, significa terapia personalizzata. In oncologia questo tipo di cura ha “rivoluzionato” i trattamenti antitumorali, superando la ‘aspecificità’ della chemioterapia che nella sua azione colpisce tutte le cellule che si riproducono velocemente sia neoplastiche, sia normali.
La  terapia a bersaglio molecolare, va a colpire in maniera mirata la causa biomolecolare del processo patologico neoplastico, la sua azione è specifica soltanto per il ‘bersaglio’ contro cui è diretta e che è presente soltanto nelle cellule tumorali.
I meccanismi su cui agiscono i nuovi farmaci sono:
-          Vie di segnale intracellulare, che portano all’ attivazione di fattori di crescita tramite ad esempio EGFR, RAS/MAPK
-          Angiogenesi
I farmaci di “nuova generazione” comprendono gli anticorpi monoclonali e le piccole molecole di sintesi che entrano nelle cellule e contrastano meccanismi critici.
I mab uccidono le cellule tumorali bloccando la funzione dei recettori di superficie e reclutando le cellule immunitarie sul complesso antigene-anticorpo. Generalmente sono specifici per un solo recettore e hanno lunga emivita plasmatica.
Le piccole molecole spesso inibiscono molteplici siti enzimatici, hanno un ampio spettro di chinasi bersaglio e tendono ad essere substrato degli enzimi epatici del citocromo P450. Hanno emivita minore dei mab, di conseguenza vanno assunti giornalmente.


u INIBITORI DEL RECETTORE PER IL FATTORE DI CRESCITA EPIDERMICO
L’EGFR (conosciuto anche come ErbB1 o HER1) appartiene alla famiglia delle tirosinchinasi ed è essenziale per la crescita e il differenziamento celllulare epiteliale, l’inibizione dell’apoptosi e creazione neoplastica. Il legame del ligando al recettore ne causa dimerizzazione e attivazione tramite autofosforilazione di molti residui di tirosina nel dominio C-terminale. Il riconoscimento delle fosfotirosine da parte di altre proteine dà inizio alla stimolazione di diverse vie di segnale come RAS/MAPK/ERK, PI3K e STAT. 
Nei tumori epiteliali la sovraespressione dell’EGFR è un dato comune. I farmaci che agiscono su questo recettore sono il Gefitinib e i 2 anticorpi monoclonali Cetuximab e Panitumumab.

Gefitinib
E’ una piccola molecola particolarmente specifica per L’EGFR è il Gefitinib. Si lega al dominio extracellulare del recettore, ne impedisce la dimerizzazione e induce la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente.
Viene usato per trattare il tumore al polmone del non fumatore (risponde di più al trattamento rispetto ai fumatori) in caso di mutazioni attivanti di EGFR. In questi pazienti la probabilità di successo della terapia è pari al 70% rispetto all’1%  nei pazienti senza mutazione. 
Farmacocinetica: viene somministrato per via orale e possiede una biodisponibilità del 60% e possiede un’emivita finale di 41 ore. Il metabolismo avviene ad opera del CYP3A4.
Tossicologia: le reazioni avverse più frequenti sono la diarrea e le eruzioni pustulo-papulosa. Altri effetti collaterali sono nausea, vomito, prurito, anoressia e affaticamento.
Interazioni: le sostanze che inducono l’attività del CYP3A4 ne diminuiscono le concentrazioni plasmatiche e l’efficacia, mentre gli inibitori ne aumentano le concentrazioni con possibile aumento di tossicità.

Cetuximab
E’un anticorpo monoclonale che si lega specificamente al legame extracellulare dell’EGFR impedendone la dimerizzazione e la trasduzione del segnale. Blocca quindi la crescita cellulari e i segnali di sopravvivenza. Può anche mediare una citotossicità anticorpo-dipendente contro le cellule tumorali.
E’ un’immunoglobulina ricombinante chimerica uomo/topo usata per tumore della testa, del collo e tumore metastatico del colon.
Farmacocinetica: dopo infusione endovenosa i livelli di stato stazionario si raggiungono con la terza infusione settimanale.  L’eliminazione avviene passando per il legame e l’internalizzazione dell’EGFR e attraverso degradazione nel RE.
Tossicologia: Gli effetti avversi comprendono: eritema acneiforme, prurito, alterazioni ungueali, cefalea e diarrea. Rramente può manifestarsi arresto cardiopolmonare e pneumopatia.



u INIBITORI DI HER2/neu
Con l'acronimo HER2/neu viene identificato il recettore 2 per il fattore di crescita epidermico umano e  viene codificata dal gene ErbB2. HER2 è una proteina a funzione di recettore di membrana del tipo tirosin chinasico, posizionata esternamente alla cellula (faccia esterna), coinvolta nelle vie di trasduzione del segnale che portano all’apoptosi, alla crescita e al differenziamento cellulare. Una forma modificata di Her2, detta HER2/neu, è un proto-oncogene, che risulta amplificato dal 25 al 30 per cento nei casi di carcinomi primari della mammella.
Quando il gene HER2 viene sovraespresso, il numero dei recettori aumenta in modo anomalo provocando una crescita cellulare incontrollata o maligna. La sovaespressione può essere dovute a un’amplificazione del gene, all’aumento delle trascrizioni HER2 mRNA e  all'iperespressione della proteina HER2 . Studi clinici hanno dimostrato che i tumori HER2 positivi presentano caratteristiche differenti dagli altri tumori mammari: una progressione più rapida della malattia; un’età di insorgenza più precoce (sono colpite in larga misura anche le donne in età fertile tra i 30 ed i 45 anni); minor sopravvivenza globale rispetto ai pazienti in cui il recettore non è amplificato; maggiore frequenza di ricaduta dopo terapia standard.
L’espressione di HER2/neu è stata identificata anche in sottogruppi di pazienti con cancro dello stomaco, dell’esofagno e del polmone.




Trastuzumab
E’ un anticorpo monoclonale chimerico umanizzato (95% umano 5% murino) che inibisce la crescita di linee tumorali iper-esprimenti HER2. Non ha effetti su tumori HER2-.
Si lega sul dominio extracellulare di HER2. Il trastuzumab esercita i suoi effetti attraverso molteplici meccanismi:
-          Inibizione dell’omo-eterodimerizzazione del recettore, impedendo l’attivazione della tirosinchinasi e la trasmissione del segnale a valle
-          Innesco della citotossicità cellulare anticorpo-dipendente
-          Blocco degli effetti angiogenici generati dal segnale di HER2
E’ il primo mab a essere approvato per il trattamento di un tumore solido. Al momento è approvato per il tumore al seno metastatico che sovraesprime HER2 in combinazione col Paclitaxel come trattamento iniziale o come ionoterapia in seguito a recidiva dopo chemioterapia.
Farmacocinetica: ha una farmacocinetica dose-dipendente con emivita media di 5.8 giorni alla dose di mantenimento 2 mg/kg. I livelli all’equilibrio vengono raggiunti tra 16 e 32 settimane.
Tossicologia: gli effetti dell’infusione di trastuzumab sono simili a quelli degli altri anticorpi e comprendono: febbre, dispnea, nausea, brividi ed eruzioni cutanee. Ma l’effetto tossico più grave causato dal farmaco è l’insufficienza cardiaca (i motivi non sono ben compresi) che se diagnosticata deve portare alla sospensione immediata del farmaco. Prima di iniziare una terapia i pazienti devono essere sottoposti ad esami per escludere una malattia cardiaca di base. Se assunto in monoterapia provoca cardiotossicità al 5%, se assunto con doxorubicina e ciclofosfamide la probabilità aumenta fino al 20%. La probabilità si riduce notevolmente con le combinazioni taxani-trastuzumab.
La cardiotossicità da trastuzumab, attribuita al blocco di ErbB2 nei cardiomiociti, si manifesta come scompenso cardiaco sintomatico o disfunzione ventricolare sinistra asintomatica con riduzione della frazione di eiezione. il trastuzumab non sembra causare perdita di cardiomiociti, il danno non è dose-dipendente ed è reversibile. Il meccanismo fisiopatologico attraverso cui il trastuzumab determina danno cardiaco non è completamente noto. La neuroregulina-1, un membro della famiglia dei fattori di crescita EGF-like, induce eterodimerizzazione e transfosforilazione di ErbB2 e attiva la cardioprotezione attraverso il signalling di ERK1/2 e PI3K/AKT. In modelli animali è stato dimostrato che il signalling di ErbB2 è importante per lo sviluppo embrionale del cuore e per la protezione dalle cardiotossine. La cardiotossicità da trastuzumab sembra essere mediata dal legame del trastuzumab con il
dominio extracellulare di ErbB2 sui cardiomiociti, il blocco del signalling indotto dalla dimerizzazione ErbB2-ErbB4 e l’inibizione del pathway di cardioprotezione e crescita cellulare.
L’interruzione del trattamento con il trastuzumab è associato alla riattivazione del pathway di
ErbB2 ed il recupero della frazione di eiezione.
L’associazione tra trastuzumab e antraci cline porta ad un’aumento della probabilità di cardiotossicità, perché agli effetti tossici delle antracicline (aumento stress ossidativo con conseguente perdita stabilità dei cardiomiociti) si aggiunge il trastuzumab che blocca i meccanismi di riparazione cellulare amplificando il rischio di morte cellulare e irreversibilità del danno.


u INIBITORI DELL’ANGIOGENESI
L'angiogenesi assicura il flusso di sostanze nutritizie al tumore. Gli agenti antiangiogenici, come il Bevacizumab, ritardano la progressione del carcinoma e se in combinazione con la chemioterapia citotossica sono efficaci nel trattamento di tumori; per di più normalizzano la pressione a livello della massa tumorale, aumentando la capacità degli agenti chemioterapici di raggiungere il tumore.
I fattori angiogenici che promuovono la formazione di nuovi vasi sanguigni secreti dai tumori sono: il fattore di crescita dell’endotelio vascolare VEGF, il fattore di crescita dei fibroblasti FGF, il fattore di crescita trasformante TGF e il fattore di crescita di derivazione piastrinica (PDGF). Molteplici tipi di tumore sovra esprimono questi fattori.
Il fattore meglio studiato è il VEGF che dà inizio alla proliferazione delle cellule endoteliali quando si lega a un suo recettore (VEGFR) tirosinchinasico. I farmaci antiangiogenici possono agire o inibendo stericamente il legame tra ligando e recettore (Bevacizumab) o inibendo l’attività tirosinchinasica del VEGFR.

Bevacizumab
Il bevacizumab è un anticorpo umanizzato che inibisce l'angiogenesi. Ha come bersaglio il fattore di crescita dell'endotelio vascolare VEGF; impedisce stericamente il legame con il suo recettore.
Il bevacizumab è usato:
- da solo per bloccare la crescita del tumore renale, un carcinoma particolarmente vascolarizzato. Aumenta,infatti, la sopravvivenza dei pazienti di 3 mesi.
- In concomitanza con chemioterapici per il cancro al polmone, al colon retto e alla mammella.
Farmacocinetica → il mab ha un'emivita pari a 20 giorni. E' somministrato con un infusione endovenosa di 30-90 minuti, e la dose può variare in base ai diversi disegni clinici. Lo steady-state viene raggiunto in 100 giorni.
Tossicità → l'effetto collaterale più preoccupante è la potenzialità di danno vasale e sanguinamento. Altre controindicazioni sono l'ipertensione e la proteinuria. L'ictus o l'infarto miocardico sono due possibilità da tenere sotto controllo attraverso un attento studio del profilo sanitario di ogni singolo paziente. Infine sono stati riscontrati nei pazienti con cancro ovarico, casi di perforazione GI.




u INIBITORI RAS
I prodotti del gene Ras sono coinvolti nei processi di segnalazione delle chinasi che controllano la trascrizione dei geni, che poi regolano la crescita e la differenziazione cellulare.
Tra le chinasi controllate da Ras, esiste una serina/treonina chinasi codificata dal gene BRAF, questa chinasi media la crescita cellulare e la trasformazione in cellula maligna. La più comune trasformazione del gene BRAF è la mutazione V600E che consiste nella sostituzione di una Valina con Glutammato al residuo 600. Il trascritto di RNA derivante da questa variante genica ha la capacità di comportarsi da oncogene.
La Commissione europea ha approvato vemurafenib per il trattamento in monoterapia di un sottogruppo di pazienti affetti da melanoma metastatico o non resecabile che presentano la mutazione BRAF V600. Tale mutazione, contro la quale agisce il farmaco, si verifica in circa la metà di tutti i casi di melanoma. Vemurafenib è una piccola molecola attiva per via orale e disegnata in modo da inibire selettivamente la proteina BRAF mutata. Questa mutazione può incrementare la crescita e la diffusione delle cellule tumorali. Una mutazione del gene BRAF si verifica in circa il 60 per cento dei melanomi e nell’8 per cento di tutti i tumori solidi.
Vemurafenib è la prima ed unica molecola personalizzata ad aver mostrato di migliorare la sopravvivenza in pazienti affetti da melanoma metastatico positivo alla mutazione del gene BRAF. Agisce in modo mirato sulla proteina spegnendola e bloccando così l’evoluzione del cancro. È il primo caso di terapia personalizzata di così ampia portata in oncologia.
Vemurafenib ha dimostrato di ridurre le dimensioni del tumore nel 52% dei pazienti.
Il melanoma è la forma più grave di cancro della pelle e la sua incidenza sta aumentando nella misura del 5-6 per cento all’anno. Le prospettive di guarigione sono enormemente migliorate nel corso degli ultimi decenni.



u INIBITORI DELLE TIROSINCHINASI
Le tirosinchinasi possono essere suddivise in proteine con legame extracellulare di legame col ligando e proteine confinate nel citoplasma o nel compartimento nucleare. In un numero crescente di neoplasie umane sono soggette a mutazione, pertanto sono bersagli della terapia contro il cancro.

Imatinib
L’Imatinib è stato il primo inibitore delle tirosinchinasi diretto contro un bersaglio molecolare a ricevere l’approvazione della FD. E’ diretto contro la tirosinchinasi BCR-ABL che è alla base della leucemia mieloide cronica. Questa tirosinchinasi diventa un potenziale oncogene in seguito a traslocazione genica dal cromosoma 9 al 22, l’Imatinib (e i composti correlati come il Nilotinib) induce la remissione clinica (scomparsa dei sintomi del tumore) in più del 90% dei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica.
Oltre che essere efficace nella leucemia mieloide cronica, è efficace anche in altri tumori che presentano mutazioni al fattore di crescita di derivazione piastrinica (PDGFR), ovvero nel tumore stromale gastrointestinale, nel dermatofibrosarcoma, nella sindrome da ipereosinofilia.
Il farmaco si lega al dominio chinasico del BCR-ABL mantenendo l’enzima in uno stato non funzionale, nel quale la proteina non è in grado di legare il substrato/ donatore di fosfato l’ATP.




 L’Imatinib è il farmaco meno potente, rispetto al Nilotinib e al Dasatinib.
Se il recettore è soggetto ad alcune mutazioni, che interessano in particolare gli amminoacidi 255 e 315 (entrambi servono come punti di contatto per il farmaco), il farmaco potrebbe non essere più in grado di legare l’enzima, bloccandolo in configurazione aperta. I tumori con questo tipo di mutazione sono resistenti al farmaco.
Farmacocinetica: il farmaco viene ben assorbito dopo somministrazione orale e raggiunge la massima concentrazione plasmatica dopo  2-4 ore. L’emivita di eliminazione è di circa 18 ore. Poiché il CYP3A4 è il responsabile principale del metabolismo, bisogna prestare attenzione ai farmaci che si somministrano in concomitanza. La dose attualmente raccomandata è di 400-600 mg/die.
Tossicologia: gli effetti avversi che possono verificarsi sono: diarrea, nausea, vomito, ritenzione di liquidi, epatotossicità e mielosoppressione non significativa che può richiedere un supporto trasfusionale, la riduzione della dose o la sospensione della terapia.
Imatinib ( Gleevec o Glivec ) può causare grave cardiotossicità con lo sviluppo di insufficienza cardiaca congestizia. Studi su topi e su culture hanno mostrato che la tirosin-chinasi Abl protegge le cellule cardiache dal danneggiamento e che l’inibizione di questo enzima causa la morte delle cellule cardiache. i cardiomiociti in coltura mostrato un’attivazione della risposta allo stress del reticolo endoplasmatico, collasso del potenziale della membrana mitocondriale, riduzione del contenuto cellulare di ATP e morte cellulare.

Nilotinib
Il Nilotinib presenta lo stesso meccanismo di azione dell’Imatinib, ma è più potente e non è influenzato da molte mutazioni che provocano resistenza all’Imatinib.
Farmacocinetica: dopo una dose orale viene assorbito circa il 30% del farmaco che raggiunge il picco di concentrazione plasmatica dopo 3 ore dall’assunzione. Ha una biodisponibilità più alta in presenza di cibo e una lunga emivita plasmatica (18 ore). Viene metabolizzato dal CYP3A4 ed è un inibitore della glicoproteina P.


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