TERAPIE MIRATE O TARGET THERAPY
Terapia Target, che ha rappresentato una delle
principali innovazioni terapeutiche di questo secolo, significa terapia
personalizzata. In oncologia questo tipo di cura ha “rivoluzionato” i
trattamenti antitumorali, superando la ‘aspecificità’ della chemioterapia che
nella sua azione colpisce tutte le cellule che si riproducono velocemente sia
neoplastiche, sia normali.
La terapia a bersaglio
molecolare, va a colpire in maniera mirata la causa biomolecolare del processo
patologico neoplastico, la sua azione è specifica soltanto per il ‘bersaglio’
contro cui è diretta e che è presente soltanto nelle cellule tumorali.
I meccanismi su cui agiscono
i nuovi farmaci sono:
-
Vie di segnale
intracellulare, che portano all’ attivazione di fattori di crescita tramite ad
esempio EGFR, RAS/MAPK
-
Angiogenesi
I farmaci di “nuova
generazione” comprendono gli anticorpi monoclonali e le piccole molecole di
sintesi che entrano nelle cellule e contrastano meccanismi critici.
I mab uccidono le cellule
tumorali bloccando la funzione dei recettori di superficie e reclutando le
cellule immunitarie sul complesso antigene-anticorpo. Generalmente sono
specifici per un solo recettore e hanno lunga emivita plasmatica.
Le piccole molecole spesso
inibiscono molteplici siti enzimatici, hanno un ampio spettro di chinasi
bersaglio e tendono ad essere substrato degli enzimi epatici del citocromo
P450. Hanno emivita minore dei mab, di conseguenza vanno assunti giornalmente.
u INIBITORI DEL
RECETTORE PER IL FATTORE DI CRESCITA EPIDERMICO
L’EGFR (conosciuto
anche come ErbB1 o HER1) appartiene alla famiglia delle tirosinchinasi ed è
essenziale per la crescita e il differenziamento celllulare epiteliale,
l’inibizione dell’apoptosi e creazione neoplastica. Il legame del ligando al
recettore ne causa dimerizzazione e attivazione tramite autofosforilazione di
molti residui di tirosina nel dominio C-terminale. Il riconoscimento delle fosfotirosine
da parte di altre proteine dà inizio alla stimolazione di diverse vie di
segnale come RAS/MAPK/ERK, PI3K e STAT.
Nei tumori
epiteliali la sovraespressione dell’EGFR è un dato comune. I farmaci che
agiscono su questo recettore sono il Gefitinib e i 2 anticorpi monoclonali
Cetuximab e Panitumumab.
Gefitinib
E’ una piccola
molecola particolarmente specifica per L’EGFR è il Gefitinib. Si lega al
dominio extracellulare del recettore, ne impedisce la dimerizzazione e induce
la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente.
Viene usato per
trattare il tumore al polmone del non fumatore (risponde di più al trattamento
rispetto ai fumatori) in caso di mutazioni attivanti di EGFR. In questi
pazienti la probabilità di successo della terapia è pari al 70% rispetto
all’1% nei pazienti senza
mutazione.
Farmacocinetica: viene somministrato per via orale e
possiede una biodisponibilità del 60% e possiede un’emivita finale di 41 ore.
Il metabolismo avviene ad opera del CYP3A4.
Tossicologia: le reazioni avverse più frequenti sono
la diarrea e le eruzioni pustulo-papulosa. Altri effetti collaterali sono
nausea, vomito, prurito, anoressia e affaticamento.
Interazioni: le sostanze che inducono l’attività
del CYP3A4 ne diminuiscono le concentrazioni plasmatiche e l’efficacia, mentre
gli inibitori ne aumentano le concentrazioni con possibile aumento di
tossicità.
Cetuximab
E’un anticorpo
monoclonale che si lega specificamente al legame extracellulare dell’EGFR
impedendone la dimerizzazione e la trasduzione del segnale. Blocca quindi la
crescita cellulari e i segnali di sopravvivenza. Può anche mediare una
citotossicità anticorpo-dipendente contro le cellule tumorali.
E’
un’immunoglobulina ricombinante chimerica uomo/topo usata per tumore della
testa, del collo e tumore metastatico del colon.
Farmacocinetica: dopo infusione endovenosa i livelli di
stato stazionario si raggiungono con la terza infusione settimanale. L’eliminazione avviene passando per il legame
e l’internalizzazione dell’EGFR e attraverso degradazione nel RE.
Tossicologia: Gli effetti avversi comprendono:
eritema acneiforme, prurito, alterazioni ungueali, cefalea e diarrea. Rramente
può manifestarsi arresto cardiopolmonare e pneumopatia.
u INIBITORI DI
HER2/neu
Con
l'acronimo HER2/neu viene
identificato il recettore 2 per il
fattore di crescita epidermico umano e viene codificata dal gene ErbB2. HER2
è una proteina a funzione di recettore di membrana del tipo tirosin
chinasico, posizionata esternamente alla cellula (faccia esterna),
coinvolta nelle vie di trasduzione del segnale che portano all’apoptosi,
alla crescita e al differenziamento cellulare. Una forma modificata di Her2,
detta HER2/neu, è un proto-oncogene, che risulta amplificato dal
25 al 30 per cento nei casi di carcinomi primari della mammella.
Quando il gene
HER2 viene sovraespresso, il numero dei recettori aumenta in modo anomalo provocando
una crescita cellulare incontrollata o maligna. La sovaespressione può essere
dovute a un’amplificazione del gene, all’aumento delle trascrizioni HER2 mRNA e
all'iperespressione della proteina HER2 .
Studi clinici hanno dimostrato che i tumori HER2 positivi presentano
caratteristiche differenti dagli altri tumori mammari: una progressione più
rapida della malattia; un’età di insorgenza più precoce (sono colpite in larga
misura anche le donne in età fertile tra i 30 ed i 45 anni); minor
sopravvivenza globale rispetto ai pazienti in cui il recettore non è
amplificato; maggiore frequenza di ricaduta dopo terapia standard.
L’espressione di
HER2/neu è stata identificata anche in sottogruppi di pazienti con cancro dello
stomaco, dell’esofagno e del polmone.
Trastuzumab
E’ un anticorpo
monoclonale chimerico umanizzato (95% umano 5% murino) che inibisce la crescita
di linee tumorali iper-esprimenti HER2. Non ha effetti su tumori HER2-.
Si lega sul
dominio extracellulare di HER2. Il trastuzumab esercita i suoi effetti
attraverso molteplici meccanismi:
-
Inibizione
dell’omo-eterodimerizzazione del recettore, impedendo l’attivazione della
tirosinchinasi e la trasmissione del segnale a valle
-
Innesco della
citotossicità cellulare anticorpo-dipendente
-
Blocco degli
effetti angiogenici generati dal segnale di HER2
E’ il primo mab
a essere approvato per il trattamento di un tumore solido. Al momento è
approvato per il tumore al seno metastatico che sovraesprime HER2 in
combinazione col Paclitaxel come trattamento iniziale o come ionoterapia in
seguito a recidiva dopo chemioterapia.
Farmacocinetica: ha una farmacocinetica dose-dipendente
con emivita media di 5.8 giorni alla dose di mantenimento 2 mg/kg. I livelli
all’equilibrio vengono raggiunti tra 16 e 32 settimane.
Tossicologia: gli effetti dell’infusione di
trastuzumab sono simili a quelli degli altri anticorpi e comprendono: febbre,
dispnea, nausea, brividi ed eruzioni cutanee. Ma l’effetto tossico più grave
causato dal farmaco è l’insufficienza cardiaca (i motivi non sono ben compresi)
che se diagnosticata deve portare alla sospensione immediata del farmaco. Prima
di iniziare una terapia i pazienti devono essere sottoposti ad esami per escludere
una malattia cardiaca di base. Se assunto in monoterapia provoca
cardiotossicità al 5%, se assunto con doxorubicina e ciclofosfamide la
probabilità aumenta fino al 20%. La probabilità si riduce notevolmente con le
combinazioni taxani-trastuzumab.
La cardiotossicità
da trastuzumab, attribuita al blocco di ErbB2 nei cardiomiociti, si manifesta
come scompenso cardiaco sintomatico o disfunzione ventricolare sinistra
asintomatica con riduzione della frazione di eiezione. il trastuzumab non
sembra causare perdita di cardiomiociti, il danno non è dose-dipendente ed è reversibile.
Il meccanismo fisiopatologico attraverso cui il trastuzumab determina danno
cardiaco non è completamente noto. La neuroregulina-1, un membro della famiglia
dei fattori di crescita EGF-like, induce eterodimerizzazione e
transfosforilazione di ErbB2 e attiva la cardioprotezione attraverso il
signalling di ERK1/2 e PI3K/AKT. In modelli animali è stato dimostrato che il signalling
di ErbB2 è importante per lo sviluppo embrionale del cuore e per la protezione
dalle cardiotossine. La cardiotossicità da trastuzumab sembra essere mediata
dal legame del trastuzumab con il
dominio
extracellulare di ErbB2 sui cardiomiociti, il blocco del signalling indotto
dalla dimerizzazione ErbB2-ErbB4 e l’inibizione del pathway di cardioprotezione
e crescita cellulare.
L’interruzione
del trattamento con il trastuzumab è associato alla riattivazione del pathway
di
ErbB2 ed il
recupero della frazione di eiezione.
L’associazione
tra trastuzumab e antraci cline porta ad un’aumento della probabilità di
cardiotossicità, perché agli effetti tossici delle antracicline (aumento stress
ossidativo con conseguente perdita stabilità dei cardiomiociti) si aggiunge il
trastuzumab che blocca i meccanismi di riparazione cellulare amplificando il
rischio di morte cellulare e irreversibilità del danno.
u INIBITORI
DELL’ANGIOGENESI
L'angiogenesi assicura il flusso di
sostanze nutritizie al tumore. Gli agenti antiangiogenici, come il Bevacizumab,
ritardano la progressione del carcinoma e se in combinazione con la
chemioterapia citotossica sono efficaci nel trattamento di tumori; per di più
normalizzano la pressione a livello della massa tumorale, aumentando la
capacità degli agenti chemioterapici di raggiungere il tumore.
I fattori angiogenici che promuovono la
formazione di nuovi vasi sanguigni secreti dai tumori sono: il fattore di
crescita dell’endotelio vascolare VEGF, il fattore di crescita dei fibroblasti
FGF, il fattore di crescita trasformante TGF e il fattore di crescita di
derivazione piastrinica (PDGF). Molteplici tipi di tumore sovra esprimono
questi fattori.
Il fattore meglio studiato è il VEGF che
dà inizio alla proliferazione delle cellule endoteliali quando si lega a un suo
recettore (VEGFR) tirosinchinasico. I farmaci antiangiogenici possono agire o
inibendo stericamente il legame tra ligando e recettore (Bevacizumab) o
inibendo l’attività tirosinchinasica del VEGFR.
Bevacizumab
Il bevacizumab è un anticorpo umanizzato
che inibisce l'angiogenesi. Ha come bersaglio il fattore di crescita
dell'endotelio vascolare VEGF; impedisce stericamente il legame con il suo
recettore.
Il bevacizumab è usato:
- da solo per bloccare la crescita del
tumore renale, un carcinoma particolarmente vascolarizzato. Aumenta,infatti, la
sopravvivenza dei pazienti di 3 mesi.
- In concomitanza con chemioterapici per
il cancro al polmone, al colon retto e alla mammella.
Farmacocinetica → il mab ha un'emivita pari a 20 giorni. E' somministrato con un infusione
endovenosa di 30-90 minuti, e la dose può variare in base ai diversi disegni
clinici. Lo steady-state viene raggiunto in 100 giorni.
Tossicità → l'effetto collaterale più preoccupante è
la potenzialità di danno vasale e sanguinamento. Altre controindicazioni sono
l'ipertensione e la proteinuria. L'ictus o l'infarto miocardico sono due
possibilità da tenere sotto controllo attraverso un attento studio del profilo
sanitario di ogni singolo paziente. Infine sono stati riscontrati nei pazienti con
cancro ovarico, casi di perforazione GI.
u INIBITORI RAS
I prodotti del gene Ras sono
coinvolti nei processi di segnalazione delle chinasi che controllano
la trascrizione dei geni, che poi regolano la crescita e
la differenziazione cellulare.
Tra le chinasi controllate da Ras, esiste
una serina/treonina chinasi codificata dal gene BRAF, questa chinasi media la
crescita cellulare e la trasformazione in cellula maligna. La più comune
trasformazione del gene BRAF è la mutazione V600E che consiste nella
sostituzione di una Valina con Glutammato al residuo 600. Il trascritto di RNA
derivante da questa variante genica ha la capacità di comportarsi da oncogene.
La Commissione europea ha approvato
vemurafenib per il trattamento in monoterapia di un sottogruppo di pazienti
affetti da melanoma metastatico o non resecabile che presentano la mutazione
BRAF V600. Tale mutazione, contro la quale agisce il farmaco, si verifica in
circa la metà di tutti i casi di melanoma. Vemurafenib è una piccola molecola
attiva per via orale e disegnata in modo da inibire selettivamente la proteina
BRAF mutata. Questa mutazione può incrementare la crescita e la diffusione
delle cellule tumorali. Una mutazione del gene BRAF si verifica in circa il 60
per cento dei melanomi e nell’8 per cento di tutti i tumori solidi.
Vemurafenib è la prima ed unica molecola
personalizzata ad aver mostrato di migliorare la sopravvivenza in pazienti
affetti da melanoma metastatico positivo alla mutazione del gene BRAF. Agisce
in modo mirato sulla proteina spegnendola e bloccando così l’evoluzione del
cancro. È il primo caso di terapia personalizzata di così ampia portata in
oncologia.
Vemurafenib ha dimostrato di ridurre le
dimensioni del tumore nel 52% dei pazienti.
Il melanoma è la forma più grave di cancro
della pelle e la sua incidenza sta aumentando nella misura del 5-6 per cento
all’anno. Le prospettive di guarigione sono enormemente migliorate nel corso
degli ultimi decenni.
u INIBITORI DELLE
TIROSINCHINASI
Le
tirosinchinasi possono essere suddivise in proteine con legame extracellulare
di legame col ligando e proteine confinate nel citoplasma o nel compartimento
nucleare. In un numero crescente di neoplasie umane sono soggette a mutazione,
pertanto sono bersagli della terapia contro il cancro.
Imatinib
L’Imatinib è
stato il primo inibitore delle tirosinchinasi diretto contro un bersaglio
molecolare a ricevere l’approvazione della FD. E’ diretto contro la
tirosinchinasi BCR-ABL che è alla base della leucemia mieloide cronica. Questa
tirosinchinasi diventa un potenziale oncogene in seguito a traslocazione genica
dal cromosoma 9 al 22, l’Imatinib (e i composti correlati come il Nilotinib)
induce la remissione clinica (scomparsa dei sintomi del tumore) in più del 90%
dei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica.
Oltre che essere
efficace nella leucemia mieloide cronica, è efficace anche in altri tumori che
presentano mutazioni al fattore di crescita di derivazione piastrinica (PDGFR),
ovvero nel tumore stromale gastrointestinale, nel dermatofibrosarcoma, nella
sindrome da ipereosinofilia.
Il farmaco si
lega al dominio chinasico del BCR-ABL mantenendo l’enzima in uno stato non
funzionale, nel quale la proteina non è in grado di legare il substrato/
donatore di fosfato l’ATP.
L’Imatinib è il farmaco meno potente, rispetto
al Nilotinib e al Dasatinib.
Se il recettore
è soggetto ad alcune mutazioni, che interessano in particolare gli amminoacidi
255 e 315 (entrambi servono come punti di contatto per il farmaco), il farmaco
potrebbe non essere più in grado di legare l’enzima, bloccandolo in
configurazione aperta. I tumori con questo tipo di mutazione sono resistenti al
farmaco.
Farmacocinetica: il farmaco viene ben assorbito dopo
somministrazione orale e raggiunge la massima concentrazione plasmatica
dopo 2-4 ore. L’emivita di eliminazione
è di circa 18 ore. Poiché il CYP3A4 è il responsabile principale del
metabolismo, bisogna prestare attenzione ai farmaci che si somministrano in
concomitanza. La dose attualmente raccomandata è di 400-600 mg/die.
Tossicologia: gli effetti avversi che possono
verificarsi sono: diarrea, nausea, vomito, ritenzione di liquidi,
epatotossicità e mielosoppressione non significativa che può richiedere un
supporto trasfusionale, la riduzione della dose o la sospensione della terapia.
Imatinib (
Gleevec o Glivec ) può causare grave cardiotossicità con lo sviluppo di
insufficienza cardiaca congestizia. Studi su topi e su culture hanno mostrato
che la tirosin-chinasi Abl protegge le cellule cardiache dal danneggiamento e
che l’inibizione di questo enzima causa la morte delle cellule cardiache. i
cardiomiociti in coltura mostrato un’attivazione della risposta allo stress del
reticolo endoplasmatico, collasso del potenziale della membrana mitocondriale,
riduzione del contenuto cellulare di ATP e morte cellulare.
Nilotinib
Il Nilotinib
presenta lo stesso meccanismo di azione dell’Imatinib, ma è più potente e non è
influenzato da molte mutazioni che provocano resistenza all’Imatinib.
Farmacocinetica: dopo una dose orale viene assorbito
circa il 30% del farmaco che raggiunge il picco di concentrazione plasmatica
dopo 3 ore dall’assunzione. Ha una biodisponibilità più alta in presenza di
cibo e una lunga emivita plasmatica (18 ore). Viene metabolizzato dal CYP3A4 ed
è un inibitore della glicoproteina P.
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